29) Musica per il cinema e altri incantesimi

"Tutto è magia, o niente."
(Novalis)

- 58.

Sono anni che voglio sentirla.
Sono anni che rimando.
Ma stasera, a Roma, l'Orchestra Italiana del Cinema suonerà all’Auditorium della Conciliazione e io, per la miseria, sarò là.
Saremo io, la proiezione del film tratto dal capolavoro letterario di J.K. Rowling, e le musiche di John Williams eseguite dal vivo.
Mi aspetto magie, ma non per Harry Potter.

Sono sul treno da un’ora passata, e da dieci minuti c’è un tizio davanti a me, a sinistra, che accarezza una donna. Le sta seduto a fianco. I capelli, poi le orecchie, mi colpisce perché se fossi in lei gli chiederei tregua.
Lei sembra corrisponderlo, anche se si lascia fare sulla guancia senza dargli la bocca, e si lascia fare sul collo, con gli occhi chiusi; sorride, ma non lo bacia. Tra una fusa e l’altra si addormenterà, credo. Lui ancora la cerca con la punta del naso sullo zigomo, e con le labbra sul lobo, e poi sull’orecchino.
Lo ingoiasse intero. La pianterebbe di scoppiare bolle vicino alle mie orecchie indifese.

Si strusciano come due gatti, lei una mansueta abbondante Ragdoll - sì, bambola di pezza le si addice - avvolta in un elegante scialle beige, lui più un Americano a Pelo Corto in calore. Mi colpisce anche perché è il tipo di persona che non pedinerei mai. Uno perché non faccio certe cose, ovviamente, due perché se ne accorgerebbe subito: ha l’aria di chi si scruta sempre attorno, con le mani incrociate sulla pancia o mentre si liscia le narici, di quelli che fanno i rappresentanti di caffè e conoscono i fatti di tutti perché passano il loro tempo nei bar, a vendere. E a lasciar parlare le persone a braccia conserte, ché alle persone piace parlare di sé, ad ascoltarle, ascoltarle per mestiere, ascoltarle per assecondarle, ascoltarle per annuire, seri, e rispondere di convenevoli, governo ladro. Gli stessi che poi arrivano a casa dalla moglie - questo la fede non ce l’ha quindi deve trattarsi della compagna - e ridono di quanto era grassa quella o sfigato quell’altro. E poi fanno l’amore in quattr’e quattr’otto, che poi c’ho Vespa su Rai Uno e le tasse aumentano e son tutti vecchi ladri e quasi quasi viva Grillo e tutti a casa.

Finalmente si staccano, e lui poggia la nuca sul sedile, chiude gli occhi, rivolge il mento al soffitto, li riapre per scrutarlo, si tira su una manica con due dita dell’altra mano e butta l’occhio all’orologio, un Apple Watch, di quelli collegati al telefonino, dentro al quale rimane annichilito per un po’ coreografando col dito.
Poi si dà una grattata al braccio, che sembra curato da un’estetista, si risistema la manica scuotendo il polso e sbadiglia in silenzio tamponandosi la bocca col pugno chiuso.
Gli guardo le unghie, sono ben tagliate, precise, tutte uguali. In effetti è anche sbarbato bene e qualche ondata di profumo arriva fin qui quando si muove. Non siamo molto distanti, non è difficile intravedere anche qualche rado capello bianco sopra le orecchie, in questa chioma scura, folta davanti e ben sfumata dal barbiere sui lati.
Le sussurra qualcosa all’orecchio. Lei dorme.
Ha a che fare con la gente, ne sono sicura. Con quei jeans blu e quella maglia verde scuro ben stirata e appoggiata sul corpo teso, potrebbe ingannare - un tipo casual, diresti. Che ha un bel petto sodo, un ex sportivo? Ma che in palestra adesso non ci va perché non ha tempo, e poi un po’ di pancetta ce l’ha. La pancetta dei trentottenni. Ma la giacca da completo maschile, dello stesso colore scuro della cintura e delle scarpe di cuoio, tradisce una certa ricerca dell’eleganza.
Questo vende.
Questo è anche pettegolo, questo sussurra cose all’orecchio della sua gatta indicando con la punta del mento qualcosa di fronte a loro, e lei apre gli occhi e ride facendo finta di guardare fuori. Questo frequenta i bar, vende caffè. Oppure è un commerciale da ufficio, di quelli che ascoltano libri come "Se vuoi, puoi" o "Il potere della persuasione" e passano tutto il tempo al telefono ad arruffianarsi i clienti e poi litigano con i tecnici perché senza consultarsi hanno fatto promesse impossibili.
Questo guarda Rocky, prima di dormire.
Ed è il cucchiaio di tante pentole, direbbe mia nonna.

Nel mezzo del mio viaggio mentale, lo speaker del treno annuncia l’imminente fermata: Roma Tiburtina.
I due si guardano negli occhi e questa volta si dànno le labbra. Lei accompagna il bacio con le due mani sul viso di lui, lui, con una sulla schiena di lei, sale sotto ai capelli, poi scende fino quasi al sedere.
Si ristaccano.
Lei deve tirare giù il suo trolley, ma lascia che sia lui a prenderglielo. Come alza le braccia, un’altra ondata di profumo pour homme arriva fin qui.
Lei gli sorride, e prima di lasciarlo e avvicinarsi all’uscita fa un gesto che assomiglia alla cornetta del telefono.
Lui allunga le labbra come un tonno, poi la mano, restando seduto. Lei ricambia con uno sfioro di polpastrelli che lui non vuole lasciare andare, ma lei è già in prossimità del corridoio e devono lasciarsi.
Non l’accompagna, la segue solo con lo sguardo. Lei si infila una gomma in bocca e mi passa accanto.

Il treno si ferma, la donna scende, lui la guarda passare davanti al finestrino e continuare sulla banchina, stretta nel cappotto.
Non si volta più. C’è un altro uomo che le sta correndo incontro mentre il treno riparte, un uomo che la prende per mano, la bacia sulla bocca, e se la porta via.

Lui rimane impassibile. Si sgranchisce la voce, si liscia brevemente le narici con una mano, guardando un punto vuoto davanti a sé.

Mi sgranchisco la voce anch’io. Noi della stazione Termini iniziamo a prepararci. Confido nella magia di questa sera, sono vicina ormai, chiudo gli occhi e fremo, sorrido dentro, ci siamo quasi.
Il fatto è che io alle magie ci credo, c’è poco da fare, persino davanti a un film per bambini, persino all’idea di saper scrivere come John Williams un giorno, o che so, Hans Zimmer, Danny Elfman, persino di fronte a un uomo con la maglietta verde scuro e una giacca elegante che, finito di preparare cappotto e ventiquattr’ore per scendere, si infila una mano dentro la tasca dei jeans e tira fuori qualcosa. Una moneta?
Inizia a passarsela tra il pollice e l’indice.
Poveretto. Quasi mi fa pena, mi ricredo.
Noto che la lucida sulla manica con cura, con discrezione, ma siamo troppo vicini, in piedi, in attesa di scendere, ormai, perché io non mi accorga di che cos’è.
Decisamente, non è una moneta.
Gratta via col pollice un alone opaco che non ne vuol sapere.
Se l’infila al dito.
Non è un anello qualunque, non è un dito qualunque.
Si accorge che lo sto fissando.
Ci voltiamo entrambi dall’altra parte.

A volte i binari scorrono così lenti accanto alla banchina che se scendi al volo atterri in piedi.

E poi è già passata mezzanotte, all'improvviso, e la carrozza si fa zucca di nuovo, e i cavalli, piccoli topi domestici. Di nuovo. E il vestito, e la notte. E il tassista... Torni a Roma quando vuole! Già.
Il fatto è che, dopo certe serate, come un Ballo a Palazzo se sei Cenerentola, o un'orchestra che suona dal vivo sotto la proiezione di un film, se con ogni fibra, respiro e grammo dell’anima hai abitato ciascuno di loro, anche se poi tutto torna uguale, niente è più com'era prima.
E sai che, alla fine, potrai solo custodire tutto dentro, senza saperlo spiegare mai.

"Ah, la musica" disse asciugandosi gli occhi. "Una magia che supera tutte quelle che noi facciamo qui."
(ALBUS SILENTE, HARRY POTTER E LA PIETRA FILOSOFALE, J. K. ROWLING, 1999)

Ognuno trova la magia dove crede, dopotutto.

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