"La verità è una cosa meravigliosa e terribile, e per questo va trattata con grande cautela."
(Albus Silente, Harry Potter e la Pietra Filosofale, J. K. Rowling, 1999)
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Stamattina Google mi ha accolto così:
"Life is simple. Are you happy? Yes? Keep going. No? Change something."
Ecco.
Partiamo dalla spazzatura?
Sì, partiamo. Da quella.
C'è sempre un motivo nelle cose, ma da un certo punto in poi mi sono messa a lavorare come una stacanovista. Io stavo a me come Forrest Gump alla sua corsa reattiva attraverso l'America.
Ci ho messo dieci anni a fermarmi. Ci ho messo dieci anni a capire che avevo interrotto qualcosa, messo in stand-by la mia vita. Nonostante le soddisfazioni professionali, voglio dire. Che però non pagano. O meglio, pagano, forse quella è l'unica cosa che fanno, però non appagano. Ci ho messo dieci anni a capire chi fossi, in verità, e che cosa volessi fare di me.
Se chiudo gli occhi e mi guardo indietro, è strano, vado a cicli di dieci per i grandi eventi della mia vita: 6-7, 16-17, 26-27... Fino a oggi. Sono sempre stati dieci. Avrei dovuto saperlo.
La verità è che facciamo tanto per tenerci occupati, e questo è banale a dirsi, perché il dolore a volte è insopportabile. Oppure è troppo grande la paura di interrogarci e andare a fondo di quelle domande, di noi stessi.
Non è tanto l'avere il coraggio di porsi domande, è l'avere il coraggio di affrontare le risposte.
Non tutti vogliono sapere le risposte. Non è scontato esser pronti.
Qui trovate il link a un video a tema di Francesco Grandis che argomenta a proposito di quella frase di Google scritta lassù. Uno schema semplice, ma poi non così tanto. Se sei felice continua così, altrimenti cambia qualcosa.
Io credo che essere felici sia una questione di coraggio, e che non ci sia niente di male a non essere coraggiosi, che non ci sia niente di disonorevole in questo. Basta prenderne atto, e tornare alla solita vecchia rassicurante buona consuetudine. Che va anche poi bene così.
L'importante è convincersene.
Un giorno qualunque, uno come un altro in cui avevo sognato di nuovo di stare in cima all'oceano dietro la parete di vetro di un faro a vedere pinne di squali vorticanti in prossimità di onde infrante e schizzate ai suoi piedi, vai a capire, ho fronteggiato le risposte.
Lo stage di teatro di quest'estate ha fatto il suo. O forse mi mancavano soltanto un ultimo scalino e una buona occasione. E chissà cosa accadrà quando tornerò per l'anno accademico che partirà da novembre. Ho pensato che avrei dovuto farmi trovare pronta. Mentalmente, dico. Sono giochi questi che o stai fuori o stai dentro, perciò, o ci arrivi pronta a farti trapassare, oppure è inutile andare. Ed ecco qua.
Quel giorno, faccio tre cose:
- Compro un libro che si chiama È facile controllare l'alcol se sai come farlo, di Allen Carr, 2007. Poi vi spiego perché. NON ho problemi con l'alcol, grazie a Dio, eh. Ci mancherebbe pure questa.
- Compro un altro libro che si chiama Fai spazio nella tua vita, di Fumìo Sasaki, 2016. A proposito della filosofia del minimalismo / essenzialismo giapponese, stile di vita che si oppone drasticamente al consumismo, per cui vige la legge "meno è meglio"; un altro alla Dominique Loreau ispirato all'unico e originale libro della Kondo. Un'altra testimonianza del fatto che riempirsi la casa di oggetti inutili non rende felici, che svuotarla ci fa sentire liberi e leggeri, e che una volta gettato via quasi tutto si avrà molto più spazio e si adotterà lo stile di vita che più ci assomiglia.
Io non sono per certi metodi drastici, ma sono rimasta ispirata dal libro della Kondo. In fondo quanta roba non ho usato per tutti questi anni? - Compro per finire L'amore si fa strada di Emma Morosini (2017), pellegrina italiana nel mondo a 94 anni... e su questo libro mi soffermo. Conosco l'autrice per via di alcune apparizioni televisive. Penso che ho la stessa devozione alla Madonna e che capisco, sento e percepisco il suo amore e la sua straripante felicità legata alla fede. E al cammino. Il pensiero seguente è quasi d'obbligo: se ce la fa lei... E che forse non dovrei cercare le soluzioni nella dieta e nei libri di self-help, ma in qualcosa di più grande.
Per la cronaca, Allen Carr è un saggista britannico famoso soprattutto per il metodo Easyway e i suoi relativi seminari e testi come È facile smettere di fumare se sai come farlo (2004), libro che pare abbia aiutato milioni di persone. Tra queste, un amico che mi ha parlato entusiasta del libro dopo aver smesso definitivamente.
Di lui tempo fa avevo letto È facile controllare il peso se sai come farlo (2008), testo che mi ha fatto riflettere parecchio, ma non mi ha aiutato. Io ritengo di avere un problema relativo al cibo simile alla tossicodipendenza o all'alcolismo, così ho comprato il suo È facile controllare l'alcol... I meccanismi di dipendenza sono sempre quelli, credo.
Nei giorni successivi:
- Li finisco di leggere tutti e tre.
- Decido quale sarà il mio prossimo viaggio: non il Profondo Sud americano, non ancora, non l'Australia da parenti sconosciuti. Questa volta voglio fare uno dei Cammini di Santiago, o parte di uno loro. E dimenticarmi della mia dieta e delle altre cose futili che mi circondano. Il cuore in mano al pensiero.
- Mi preparo a rispondere alle domande del "pozzo", esercizio di outing (mi riferisco alla scuola di recitazione) attraverso la tecnica omonima che consiste nel predisporre un riflettore teatrale in direzione dell'intervistato e porgli delle domande, al cospetto di tutta la classe, su vissuto e vita privata. Terapia d'urto per sconfiggere la paura del pubblico, la paura del giudizio, del sentirsi ridicoli e inadeguati a spogliarsi davanti a tutti; uno svuotamento totale del sé propedeutico al lavoro successivo, che avrà poi a che fare col lasciarsi entrare un personaggio come contenitori sgombri pronti a ospitare qualcun altro.
A volte, si fa il "pozzo" anche al personaggio, in modo che l'attore sia costretto a inventarsi, improvvisandone il racconto, una biografia plausibile, che lo aiuti a dargli spessore una volta in scena.
L'attore e il personaggio devono prescindere l'uno dall'altro, o si creeranno interferenze, il che richiede una grande risoluzione dell'identità e del vissuto personale. In altre parole, se non si è pronti, si tratta di uno sforzo sovrumano, si tratta di violenza psicologica.
Terapeutica, in ogni caso. I colleghi sono lì per lo stesso motivo, ognuno porta le sue, ce n'è per tutti, non si salva nessuno. Tranne chi si ritira.
"Le chiedo di chiudere gli occhi e tornare lì...", frasi che riecheggiano nella mia mente da quest'estate. "Ci racconti com'è andata."
E poi, d'un tratto, si sa di poter parlare, così, mentre si inizia a svuotare un angolo del divano degli ospiti un giovedì pomeriggio d'autunno qualunque, al cospetto di un trasloco che ha atteso dieci anni, mentre la radio passa gli Hoobastank con The Reason.
E poi, finalmente, la mia seconda medaglia d'oro!