"Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!"
(Santa Caterina da Siena)
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Sapete, c'è una cosa che non so accettare. E sono le mezze misure. Questa interrotta modalità di vivere. Di pensare, di fare le cose, di sentire.
L'abbastanza, la mediocrità. Mi atterrano.
Tolta la relatività scientifica di cui è fatto il mondo, tolta la morale del bene e del male, io sono legata a un'idea per cui le cose sono o non sono, le 50 sfumature di grigio che se ne stanno nel mezzo sono 50 tentativi falliti di volermi significare qualcosa.
Se questa è un'idea infantile, la saggezza dei bambini è sottovalutata.
Voglio dire, le cose o si fanno o non si fanno, o si è innamorati di qualcuno o non lo si è, o dài tutto o non dài niente, o ne vale pena o no. Mi sono messa nei guai per proteggere qualcuno che non era in grado di difendersi. E ho accettato le conseguenze, sono fatta così. Mi schiero goffa in tutta la mia ostentata fierezza sempre e comunque dalla parte della verità. Ho bisogno di smascherare gli impostori. E quando amo qualcosa, qualcuno, lo faccio veramente. Non ho scelta.
Ricordate American Hustle - L'apparenza inganna, film del 2013 diretto da David O. Russell? Quando lei dice a lui: "Non sei niente per me se non puoi essere tutto."
È così che è andata per me.
E mi rattrista pensare a certe cose che sento in giro, come per esempio "Ma tu lo ami?" Risposta con testa piegata e sguardo scavalcante: "Mah, sai... l'amore è comunque un impegno... però sì, mi sento così, direi..." O "La ami?" Risposta: "Mi fa stare bene. Stiamo bene. È una brava ragazza." E cose simili.
Volevo dire che io voglio molto bene al mio cane, che è un gran bravo cane, e mi fa stare bene.
Detto questo, c'è una cosa. Analizzando i fatti, sono anche una che il Reggaetton, da un certo punto in poi, ha iniziato a ballarselo in casa anziché andarselo a ballare fuori, sono una che se non programma non agisce, ho un approccio innanzi tutto razionale alle cose, non riesco a seguire l'istinto se non in condizioni di assoluta comprovata sicurezza.
Dopotutto, bambina non sono più.
Dunque, che cosa significa questo?
Significa che in una situazione come quella che ho appena vissuto, lo stage sull'immedesimazione stanislavskijana, è venuto fuori che di fronte al dunque, di fronte al livello di intensità schiacciante che veniva richiesto, è emerso il terrore di sentire male, è emerso il terrore di sentire.
Voi non avete la più pallida idea della potenza di queste cose, di quello che si viene a creare con gli altri componenti del gruppo, che sia teatro, psicodramma, terapia... e di ciò che effettivamente viene richiesto a un attore: di spogliarsi davanti a tutti, deporre abiti e armi a terra, attingere alla sua memoria emotiva e metterla a disposizione degli altri, dello spettacolo, della performance, dello show. Anche se questo dovesse significare rivivere una violenza. Recitare è un masochistico atto d'amore: non è esibizionismo, tutt'altro. È l'applicazione di uno studio approfondito della psicologia umana. Che si regala agli altri. Approfondito al punto da farselo entrare nella pelle. Mettersi "nei panni" di qualcun altro, dentro e fuori, facendo uscire noi da noi per farci entrare lui. Per me ho scoperto essere una cosa meravigliosa. Essere uno, essere tutti. Ma, come tutte le cose meravigliose, ha una controparte di prezzo da versare, un valore che pretende di essere riconosciuto e ricompensato con un'espressione interiore priva di riserve. È una rinuncia. O un dono per le persone, a seconda di come la si vuol vedere. Non a caso Stanislavskij è colui che ha dato vita alla nuova attuale concezione di recitazione nello stesso periodo storico in cui stava uscendo Freud con la psicanalisi.
Allora mi fermo un momento prima di continuare e mi chiedo: sarò una che la storia delle mezze misure se la racconta? Sarò una delle tante, invece, che si arrabatta alla vita come può, ché non tutto si può controllare, non tutto si può contenere, non tutto possiamo lasciare che imploda prosciugandoci fino all'ultima goccia di energia emotiva? Sarà che anch'io sono una che si protegge, e si protegge eccome?
La frase assassina a metà dello stage è stata: "devi imparare a lasciarti andare, sei tutta tecnica."
Già sentita in Accademia.
(Allora è vero)
Così, dopo un pianto serale che non avrebbe dovuto avvenire in privato, ma in pubblico, mi sono messa in discussione per l'ennesima volta. E, questa volta, ho parlato col mio amico Mike. (Ve lo ricordate? Americano, quarta puntata. Dovevo anche spiegargli perché quest'estate non sono con lui.)
Singhiozzando dico Sarà che tutta questa interiorità straripante che mi porto in giro in realtà è una grandissima farsa? Sarà che in realtà non c'è niente dentro, ecco perché non riesce a uscire?
A parte che lui mi ha fatto notare che l'interiorità ce l'ho eccome, non fosse altro che per come ci stavo potendo stare per una frase detta storta da qualcuno.
(L'amicizia salva il mondo.)
Ma poi mi dice che Non è che tu non hai l'interiorità, quello che ti stanno dicendo è che tu non sei a tuo agio con quell'interiorità, non sei a tuo agio con la profondità della tua interiorità, e così metti dei filtri pazzeschi e da fuori non arriva bene quello che sei, ché sembra che sei sulla tecnica, sulla superficie, sull'esercizio di stile.
Un conto è possedere un'interiorità, un conto è possederne l'educazione, l'espressione. Mi dice, Tu di fatto hai un pozzo dentro pieno di roba che però non stai facendo vedere agli altri.
E allora penso che io lo voglio stappare il vulcano, io la voglio educare quella interiorità, voglio sentirmici a mio agio, voglio poterla dare agli altri, in tutta la sua insondata profondità.
E penso anche che il teatro sia il contesto per eccellenza in cui non esistono le mezze misure.
E allora questo fa di me non un'illusa, non una bambina, non un'irrealista, ma una persona che ha trovato il contesto giusto per la sua stessa, propria, involontaria, data natura.
Sarà che non ci sono abituata, ma questa nuova consapevolezza mi ha spostato un ingranaggio dentro. Qualcosa si è mosso, ha fatto uno scatto. Tutto questo mi ha travolto, schiacciato, e infine dato una forza particolare, una fiducia nuova. Un immenso inaspettato conforto.
Ricordate Einstein e i suoi pesci?
Quando ti rendi conto di non essere sbagliata tu, ma di avere solo sbagliato ambiente. Di esserti confrontata da sempre con le persone sbagliate, tutto qui.
(E che non vedi l'ora di riabbracciare quelle giuste.)
Tanto per dirvi com'è andata a finire l'ultimo giorno, con il monologo-esame: ho ricevuto l'applauso stupito del maestro, e di tutti gli altri; che ho applaudito a mia volta, perché abbiamo conosciuto più l'uno dell'altro in una settimana che in tutta una vita e ci siamo sostenuti a vicenda come vecchi nuovi amici che, preso atto dei propri limiti e delle proprie paure, grazie al gruppo e all'introduzione dello studio sull'educazione emotiva e l'immedesimazione, hanno cercato insieme di superarli.
E volete sapere di un altro cerchio chiuso? Il maestro è la stessa persona che ci fece il laboratorio di teatro all'università tanto tempo fa!
Non volevo rimanere col dubbio e sono andata a chiederglielo prima di salutarci. Mi ha detto che aveva lavorato molti anni con il mio docente di riferimento. È la stessa persona che aveva acceso inconsapevolmente un fuoco, ma che non avevo mai più cercato perché la mia vita era deragliata da un'altra parte.
Si sta parlando di quindici anni prima.
Che il destino stia tentando di dirmi qualcosa?
Inoltre, dopo aver lavorato un'intera notte, in seguito a specifici suggerimenti, sulla goffaggine indotta da quel non sentirsi a proprio agio con l'interiorità, ho ricevuto i complimenti per la "femminilità" di Solange. Io.
La vera domanda qui non è se fare l'attrice o no. La vera domanda qui è, se davvero vuoi recitare (o scrivere), quanto sei disposta a perdere?
Quanto sei disposta a dare?
"Do. Or do not. There is no try."
(Master Yoda teaching Skywalker)
Mi sono iscritta alla scuola.