"Yesterday is history; tomorrow is a mystery. Today is a gift, which is why we call it the present."
(Bil Keane)
- 233.
Non ho ancora detto chi sono e come mi chiamo.
Sul chi sono ci sto lavorando.
Sul mio nome, diciamo che a un certo punto nasco, e, vittime dell'insistente adolescenziale fantasia esotica delle mie sorelle, i miei decidono di chiamarmi Alexandra.
Lo so.
(Gira e rigira, non c'è nessuno che non si sia fatto una risatina sul mio conto prima o dopo.)
Sarebbe bastato togliere una x e sostituirla con un paio di semplici esse e sarei stata una ragazza normale. Ma il fattore x mi ha perseguitata. E non quello con cui si vince un serale.
Ognuno ha le sue croci -.-
Anche se di recente qualcuno mi ha detto che le croci bisognerebbe guardarle per così +. Che le croci son valori aggiunti, viste dalla prospettiva giusta.
Qualcuno che mi vuole bene.
Comunque, soltanto i miei mi chiamano per nome. Per tutti gli altri sono Alex, da sempre.
Ecco, più che altro in famiglia e a scuola, dove sono stata troppo piccola per cambiarmi il nome.
E anche i miei amici più stretti, soprattutto quelli di vecchia data, mi chiamano ancora così.
Tutte le estati che ho potuto, da un certo punto in poi, sono fuggita a Manhattan da Mike, il mio amico americano, dove la mia x non ha mai fatto di me una col nome da maschio, e dove le x poco contano in realtà, perché la verità è che a nessuno gliene frega niente.
Per tutti quelli che ho conosciuto dopo, sono semplicemente Ale. Che si ride e si mangia insieme, ma è difficile che si vada oltre le prime tre lettere.
Questa cosa nel tempo mi ha creato dei problemi.
Disturbo Evitante di Personalità. Così lo aveva chiamato lo psicologo da cui ho smesso di andare da adolescente. Tratti Borderline e chissà che altro che mi nascondeva.
Mi ricordo che una volta mi chiese di disegnare la vergogna. Fu un disegno che lo colpì, me ne accorsi da come mi guardò quando risollevò lo sguardo verso di me.
L'avevo implorato di decodificare il mio problema, non capivo perché doveva essere così difficile "individuare e curare".
Sono fuggita. Che mi importava in fondo, tanto non c'era rimedio. Avevo una bella x nel nome che non poteva essere risolta. Di fatto, lì se ne stava e lì rimaneva.
Ma la verità era che volevo fuggire da me e dai miei mondi paralleli del cazzo. Volevo estirparmi a forza la x dal nome. Una incognita maledetta, un cromosoma sbagliato? Un'interruzione, una domanda cruciale: sono pazza o sono sana? Un test a risposta chiusa, uno sbarramento, un divieto di fermata, una moltiplicazione di fattori aberranti, dispendiosi e violenti. Non aderivo, non riuscivo ad aderire alla realtà che continuava da sempre a sgusciarmi via dalle mani come un pesce vivo che si dimena per la libertà. Non riuscivo a catturarla. Volevo solo stordirmi, in qualche modo. Volevo fluttuare nello spazio. Non avere corpo, solo anima.
La cosa buffa è che in America il mio è un nome perfettamente normale, e non meno frequente. Ma anche l'umano più spettacolare della Terra dall'altra parte della galassia è un alieno uguale.
Vivevo nel posto sbagliato? Non riuscivo a capire come uscirne e il nulla che se ne sta oltre la soglia verso la quale continuavo a spingermi, pur non facendolo apposta, era come una calamita per me. Da troppo tempo ormai per non venirne risucchiata completamente una di queste volte ed era questa la cosa che temevo di più al mondo: non la morte, non la vita, ma l'inferno che se ne sta nel mezzo. Di cui il nulla è sovrano, e ti possiede per forza e ti svuota e ti lascia lì fino alla prossima volta che ne ha voglia.
Una volta a scuola (io sono stata una di quelle che ha vissuto il bullismo psicologico), chiusa nel bagno delle ragazze, avevo finito di leggere una lettera scritta su carta alla vecchia maniera. Una lettera che mi aveva turbato profondamente, e la prospettiva era quella di tornare in classe a sostenere i soprusi dei professori sbagliati facendo finta di niente. O mi sarebbero venuti a cercare e avrei dovuto dare spiegazioni.
Con l'unica compagnia e il conforto di un gabinetto, mi ricordo che lo sguardo mi è caduto sulle piastrelle appiccicose del pavimento dove stavo seduta. E sul soffitto, che aveva bisogno di una mano di bianco. E una delle lampadine di essere cambiata. C'erano crepe ovunque mi voltassi.
Le ho sentite anche dentro. Mi ricordo di aver pensato che prima o poi saremmo crollati tutti. E avrei voluto che accadesse lì, in quel momento.
Si sta parlando della punta di un iceberg, naturalmente. Molto più oscuro e profondo sotto la superficie. Ma io questo allora non lo sapevo. Io allora non ero al mondo. Non so dove fossi.
Una cronica sensazione di vuoto come se una ruspa mi avesse sventrato e la mancanza di un senso coerente di me stessa mi inghiottivano in un'esistenza cupa, vaga, in un senso di turbamento profondo, di umore instabile e senno precario. Mi risvegliavo posseduta dal nulla e non potevo farci niente. Non sapevo nemmeno contro che cosa avrei dovuto combattere per evitare una tale ferocia, risucchiata da un senso di morte improvviso aggrappato tra lo stomaco e l'intestino. E schiacciata da una grossa mano pesante pressata sul torace sempre, tutto il tempo. Era come impazzire lentamente, dentro un piccolo pozzo, buio, profondo, e isolato.
Cresceva in me la disperazione nella consapevolezza di non poter assecondare l'esigenza di vomitare il cervello, e desideravo il riposo, o il naturale protrarsi del decesso anche fisico, a quel punto. Desideravo la morte come sulla torta prima di soffiare le candeline (esprimi un desiderio), come si desidera mangiare quando si muore di fame o di rincasare la sera da un circo che non è più divertente.
Io vado... Ma no dài, di già? Sì sono stanca scusatemi, ho bisogno di dormire Invece dovevo restare, ero obbligata a farcela. Non c'è modo di fuggire da qui? Da dove si esce? Per favore? Cercavo un maniglione anti-panico, l'uscita d'emergenza dalla mia vita.
Che... non c'è.
È stato molto tempo fa.
Guardo a quella trascorsa e lontana persona come se non si trattasse di me. Non si tratta di me. È questo che provo.
Chi non l'ha vissuto non ha idea di che cosa sia la luce dopo essere passati dal buio.
L'ho ritirato fuori, e non succederà più, solo per far capire l'importanza che ha per me oggi la felicità. È un dovere di gratitudine alla vita, che, in seguito a un percorso introspettivo e spirituale molto importante, tra cui una incredibile esperienza prima dai frati e poi a Međugorje, alla fine mi ha guarita.
Ecco, io non posso provare di essere una miracolata, non avevo gambe infette e purulente che sono guarite all'improvviso a bende sfasciate, né arti storpi per mostrare che ora non lo sono più. Non avevo un cancro di cui ora posso esibire la guarigione, il mio era un cancro diverso. Perciò non ho modo di dimostrarlo. Che è sparita l'infezione dal mio dentro.
Ma io lo so. Non resta che voltarsi dall'altra parte e credermi folle, o stupida, o come vi pare. Oppure, invece, credermi e basta.
Oggi sono quel tipo di persona che se lanci una bestemmia si sente come se gli avessero offeso la madre. E credo che chi "non crede" nella depressione come malattia, non ha gli strumenti per comprendere cosa alcuna.
Sono qui, in piedi sulla bilancia dopo la prima settimana di sfida (non ho resistito con tutte le scarpette di pane che ho dovuto evitare e non solo), che segna clamorosamente... 1,2 kg in meno? Oddio, ma cos'è, a correre non ho nemmeno iniziato, ancora! Va a finire che ho azzeccato la dieta.
Ma ci sarà uno sbaglio.
Oh, ragazzi, qui mi dà così.
Va beh, in attesa della fregatura, meglio. Ah!
Significa che il mio metabolismo risponde correttamente, e non ci sono disfunzioni di nessun genere, grazie a Dio.
C'è un'altra cosa: la prima lezione in Accademia è stata come vedersi spalancare davanti agli occhi due porte spesse e pesanti, scendere dalla navicella spaziale col casco in mano e capire di aver appena azzeccato il pianeta giusto.
Ben arrivata Alex. Eravamo in pensiero.
Io che leggo Pirandello al leggio, davanti a tutta la classe, tipo terapia d'urto. Io, come gli altri. Noi che dobbiamo tutti resettare i nostri modi di parlare e dimenticarci di chi siamo, per poi tornare ad essere. Gente con la erre moscia, gente con la zeppola, con la lisca, gente che scambia i suoni, la gi con la zeta, la sh con la esse, ce n'è di tutti i colori. E il direttore, fondatore dell'Accademia, e professore di questa prima parte di fonetica e dizione, la stessa persona che mi ha risposto al telefono il primo giorno, mi è caro come pochi.
Vagamente crudo come piace a me, pochi formalismi, pratico nel metodo, nutrito di storia della lingua italiana fino al midollo, devoto alla cultura, alla letteratura, al cinema e alla sua bellissima moglie.
Adoro le storie d'amore, di qualunque genere.
E io non sono spettatrice. Questa volta ci sono dentro.
http://peoplehavethepower.altervista.org/un-mondo-malato-sani-mente-vanno-dallo-psicologo/
….Solo chi cade impara a rialzarsi e tu ti sei rialzata alla grande, noi siamo la somma delle esperienze del passato, quindi grazie al tuo vissuto oggi hai la forza per cambiare il tuo futuro.
non vedo l’ora di ascoltare la prossima puntata, grazie !!!
Ahahah! Ma che piacere, grazie! Non ho parole per esprimere come mi sento, e la forza non viene da me. Come si può leggere dall’articolo che ho condiviso sopra (vedi primo commento), è il mondo che è malato e sono i sani di mente ad andare dallo psicologo, va a finire. Sono contenta che la dottoressa Carla Sale Musio abbia spiegato in termini più chiari forse quello che io tutt’oggi faccio ancora fatica a spiegare. Se non servendomi di metafore come “una x nel nome”.
Inoltre, credo che patologie come il disturbo evitante di personalità, l’ansia, la depressione, soprattutto, siano SOTTOVALUTATE. Malattie che degenerano quando la dose è rincarata dalla percezione più o meno reale di derisione, emarginazione, incomprensione di sé e magari bullismo subito in un’età ancora delicata, come è successo a me. Che resta. E il “Nulla” che ti entra dentro e ti svuota “e ti lascia lì, fino alla prossima volta che ne ha voglia”, paragonabile a un risucchio, un abuso, una possessione maligna, una cosa indescrivibile.
Sì, è vero, sono riuscita a rialzarmi alla fine, grazie a Dio. In tutti i sensi. E anche grazie a un percorso introspettivo precedente, con la psicoterapeuta giusta. Ed è per questo che voglio condividere la mia esperienza. Il passato è strano, prima lo odi, poi lo ringrazi.
Grazie ancora per l’entusiasmo e l’incoraggiamento, di cuore. Ricambio con affetto e poi a lunedì, con il futuro 🙂