16) Chi fa da sé

"Ask what makes you come alive and go do it. Because what the world needs is people who have come alive."
(Howard Thurman)

- 149.

È caldo. È ufficiale. Quando non ci si trascina ancora al suolo come scheletri, tipo dove mi trovo io adesso, il sole mi mette di buon umore.
Ho dei frammenti di racconti nel cassetto, e prima o poi voglio ritirarli fuori e metterli insieme.
Ogni tanto faccio visita ai personaggi dei miei romanzi incompiuti, come si fa con gli amici o con i parenti
Come va? Volevo solo sapere come stavi. Come te la passi, che stai facendo?
E vado avanti con un altro pezzo, a seconda di quello che ogni volta mi raccontano. Per questo i manoscritti sono più di uno.

Ma, c'è una cosa nuova.

C'è una domanda che mi ha cambiato la vita un giorno, mentre leggevo Anthony Robbins, ed è stata:

"Se sapessi di non poter fallire, che cosa faresti?"

Wow.
Beh, io...
Allora non mi era chiara la risposta. Ma oggi voglio rispondere pubblicamente.
Io sogno di continuare a lavorare con la voce e di essere un'autrice di professione. Lo voglio da quando avevo nove anni. L'ho sempre voluto, e sempre allontanato, per i motivi che conoscete. Ma questa è la verità. Voglio scrivere.

L'altro giorno pensavo che sono qui grazie alle mie conoscenze di informatica. Voglio dire, è una fortuna che io abbia fatto il tipo di percorso che ho fatto e che il web in particolare sia la mia materia. Non avrei saputo costruire questo spazio, gestirne la visibilità, le magagne, monitorarne l'andamento, avere la possibilità di scrivervi, se mi va. In un luogo che non fosse Facebook, un canale di comunicazione che mi assomiglia di più, fatto con le mie mani, meno caotico e meno dispersivo, un po' meno "becchiamoci in piazza", un po' più "incontriamoci a casa mia". Un luogo dove un giorno spero di pubblicare delle novità editoriali.

Insomma, pensavo che tutto serve. Tutto quello di cui si fa esperienza nella vita, in un modo o nell'altro.
E che non è vero che non amo l'informatica, il multimediale è il mio, lo amo e l'ho scelto: è il contesto in cui sono obbligata a metterlo in pratica che detesto. Ma di gavetta ne ho fatta tanta e so per esperienza che non sarebbe diverso da un'altra parte.
Voglio dire, sono felice solo quando l'informatica la uso per me, e costruisco cose dopo aver disegnato il progetto come dico io. Dopo aver stilato un piano d'azione, una procedura chiara, che conosco, che comprende i miei linguaggi, i miei strumenti, le mie abitudini. Ovvero, ho sempre preferito essere autonoma e fare di testa mia. In tutte le cose. Che, se aspetti gli altri, puoi morire.
Sono grata di tutto quello che ho imparato da loro, di tutto quello che mi hanno insegnato, e io sono una piccola spugna, come si dice.
Ma gli altri, a loro volta, devono sottostare a meccanismi più grandi, volontà superiori, obiettivi bassi.
Sono stanca di fare la pantera in gabbia, me ne torno nella foresta.
Che poi sia la foresta parlante di Shakespeare è un altro discorso. Ma l'informatica non me la toglie nessuno. La userò per parlare con voi. La userò perché viviamo nell'era del self-publishing e farò da me, perché lo posso fare. Non voglio fare l'artista nella vita perché non mi piace l'informatica, voglio fare l'artista nella vita perché mi piace l'arte.

Ho deciso di andare con ordine e finire il mio primo romanzo.
Non c'è miglior momento dell'estate per finire di buttare giù la fine della prima stesura del manoscritto, così poi potrò dimenticarmene per un po' e passare alla prima revisione durante l'inverno.
Sarebbe chiudere un altro bellissimo cerchio per me.

E poi c'è qualcosa di più di questo.

Il mercato editoriale è spietato, e, secondo le statistiche, in Italia si legge poco e si pubblica tanto. Gli editori non hanno più risorse per promuovere i libri, quindi ormai vanno a promuovere solo quegli autori che già di per sé sanno spingere con il marketing. Dunque, la verità è che gli editori sono alla ricerca di self-publisher, cioè di autori che si sono autopubblicati già con buoni riscontri, perché è chiaro che con un'autopubblicazione riuscita diventa tutto più facile: hanno a loro disposizione un prodotto che è già stato testato dal mercato, e persone, gli autori, con cui possono collaborare attivamente perché si sono già autopromosse con efficacia. L'autopubblicazione sembra essere diventata la soluzione più rapida ed efficace, se si vuole vivere di scrittura, considerato anche che i margini di guadagno sono molto più alti di quelli che si avrebbero con l'editoria tradizionale, e si hanno la massima distribuzione, il totale controllo delle vendite, i diritti sull'opera, ecc.

Senza ipocrisia: io non avevo mai comprato un libro autopubblicato. Per la qualità mi sono sempre affidata all'editoria classica. Ma la verità è che nelle classifiche di vendita, oggi, non c'è più distinzione tra autori che pubblicano con editore e autori autopubblicati, anzi su Amazon, ad esempio, molti self-publisher sono addirittura in cima alle liste di vendita. Ci sono casi editoriali giganteschi e dati statistici sufficienti a dimostrarlo. Uno fra tutti, la James con le sue Cinquanta sfumature di grigio, che prima di raggiungere le vette più alte di vendita era una self-publisher. Francesco Grandis (Wandering Wil), che seguo e amo molto, si è autopubblicato con il suo Sulla Strada Giusta (il primo libro autopubblicato che ho comprato nella mia vita e ho fatto bene), che ha fatto talmente successo che poi è arrivata la Rizzoli e gli ha proposto di proseguire con la seconda edizione del libro. E lui ha accettato per lo stesso motivo per cui avrei accettato anch'io: un conto è scrivere buoni libri, un conto è saperli promuovere con efficacia.
Scrivere è il mestiere che ti piace, non fare il promotore di te stesso. Quello è un altro mestiere: un autore dovrebbe esprimersi come artista, non fare il marketer per guadagnare soldi. Fare i promotori di sé stessi, autopubblicare e promuoversi, richiede un grande sforzo, grandi capacità organizzative e relazionali, conoscenze di marketing, e in generale un'azione promozionale costante, a lungo termine. Dunque, tempo. Che, alla fine, si toglie alla scrittura.

Aggiungo che dev'essere una vera soddisfazione tenere il proprio libro in mano con in copertina stampato il marchio di garanzia di una grande casa editrice italiana.
E volevo arrivare qui: se una volta la modalità per farsi notare dalle case editrici era inviare il manoscritto per posta, manoscritti che non si leggono più perché ne arrivano troppi, oggi la modalità per farsi notare è il self-publishing.
Bene allora, magari l'autopubblicazione non sarà il mio fine, ma sarà il mio mezzo. Chi può dirlo. Sono caduta con la bocca nel fango e mi sono dovuta rimangiare tutti i pregiudizi del mondo. Viva chi sa scrivere (bene) e si sa autopromuovere.

Ecco un articolo da Il Fatto Quotidiano in cui vengono citati due grandi punti di riferimento italiani per il self-publishing: Emanuele Properzi, parafrasato sopra, e Rodolfo Monacelli. Due grandi scoperte, per me.

Sulle case editrici a pagamento, penso che di quelle non dovrebbe nemmeno essere contemplata l'esistenza.

Alla luce di questo, vien da sé il vostro coinvolgimento!

Detto ciò, posso affermare finalmente di essere in ferie.
E, se non si fosse capito, sto avendo del tempo per pensare.
Resterò in montagna per almeno una settimana. Faccio lunghe passeggiate, la mia "attrezzatura" da trekking, o nordic walking, sta tornando utile. E, novità che ancora non sapete, sto preparando un monologo per uno stage di teatro che mi attenderà a breve.

Così. D'istinto, mi ci sono ficcata.
Ma di questo vi dirò la prossima volta.

Vi lascio con Carlo Taglia, e il suo prodigio editoriale Vagamondo:

Commenti facebook

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.